Sotto il segno della tensione visionaria si pone Pietra di diaspro, la nuova opera di Adriano Guarnieri (1947) commissionata dal Festival di Ravenna, che l'ha proposta nella serata di apertura, con meritatissimo successo: e' una delle opere italiane piu' significative degli ultimi anni, degna continuazione dell'intensita' musicale di Medea (Venezia 2002). Il testo, non narrativo, ha caratteri onirici e poetici ancora piu' astratti, perche' unisce liberamente frammenti tratti dall'Apocalisse, da quattro poesie di Paul Celan e da una di Maritain, in arditi accostamenti di immagini. Dall'antico testo Guarnieri riprende soltanto la contrapposizione tra il simbolo del potere (Babilonia) e la visione utopica della Gerusalemme celeste, cui allude anche il titolo (pietra di diaspro come pietra di luce, il cui splendore e' quello della citta' ideale); di Celan sono alcuni versi d'amore e di apertura utopica e la poesia di Maritain e' di carattere mistico-amoroso. Sotto il segno della tensione utopica e di una incandescente urgenza espressiva si pone la musica, dove non mancano momenti di lirica delicatezza, ma dove prevalgono dense polifonie, fitte sovrapposizioni si spessori sonori, vortici che si proiettano verso il registro sovracuto, con le voci tese all'estremo. Le situazioni sonore sono cariche in se' di forza teatrale (si potrebbe parlare, come per Nono, di "teatro dell'ascolto"), con esiti coinvolgenti. L'allestimento di Pietra di diaspro era in coproduzione con l'Opera di Roma, e a Roma, al teatro Nazionale avevano avuto luogo le prime due rappresentazioni. Piu' adatto si e' rivelato il vasto spazio del PalaDeAndre' di Ravenna, e magnifica era l'esecuzione musicale, con l'Orchestra dell'Opera di Roma guidata da Pietro Borgonovo, con le eccellenti sette voci soliste, Sonia Visentin, Alda Caiello, Antonella Ruggero (gia' interpreti di Medea), Ilaria Del Prete, Matelda Viola e i controtenori Lazzara e Belfiori Doro. Di grande rilievo i solisti strumentali: Paola Perrucci (arpe), Roberto Fabriciani (flauto iperbasso) e Andrea Noferini (violoncello); ottimo il gruppo di 7 voci che sostituiva il coro; determinaNte il live-electronics, curato da Alvise Vidolin, Nicola Bernardini, Nicola Buso. Pietra di diaspro non offre al regista alcuna indicazione scenica: Ezio Antonelli ha costruito una bella scena fissa, facendone la base di proiezioni ed effetti di forte suggestione, valorizzati dalla regia di Cristina Mazzavillani Muti.
Adriano Guarnieri, l'apocalittico (di Mauro Mariani, il giornale della musica)
L'inizio una musica di complessita' enigmatica ma di grande impatto, con gli strumenti addensati in grumi quasi impenetrabili ma dinamici e le voci che straziano il testo in fonemi mormorati o urlati, stravolti dall'elaborazione elettronica dal vivo che li fa ruotare nello spazio. Poi questo suono si dirada. Emergono dal magma sonoro ora il lungo solo, aspro e disperato, del violoncello (Andrea Noferini), ora un'arpa (Paola Perrucci) moltiplicata dal live elettronics in evanescenti immagini sonore riflesse, ora il suono inaudito e quasi metafisico del flauto iperbasso (Roberto Fabbriciani). Anche alcune singole voci vengono a tratti in primo piano: la prima e la seconda parte si concludono con due soli vocali piu' distesi e lirici (li si vorrebbe quasi definire arie) diversissimi tra loro ma egualmente suggestivi, affidati rispettivamente alla vocalita' esperta della musica d'avanguardia di Alda Caiello e alla voce pop di Antonella Ruggero. Non ci puo' aggrappare a uno svolgimento musicale tradizionale, che crei una sua drammaturgia fatta di tensioni e distensioni, magari con una progressione indirizzata verso la conclusione, eppure la musica di Adriano Guarnieri ha una sua drammaticita' che nasce da idee audaci e da gesti musicali forti e d'una sua particolarissima valenza teatrale a Pietra di diaspro. La realizzazione scenica di questa opera-video (o oratorio astratto) problematica, perche' non esiste un'azione e neanche vengono suggerite immagini in alcun modo riconducibili a una drammaticita' sia pur lontanamente tradizionale: ci sono solo il delirio dell'Apocalisse di Giovanni e il lirismo stravolto di Celan. Ezio Antonelli ha ideato pareti nere specchianti e trasparenti e un cilindro di sottili fili che catturava la luce, su cui ha lavorato con le sue immagini virtuali. Poteva essere una buona idea di partenza, ma la regia e i movimenti coreografici inserivano in questo spazio scenico un descrittivismo piuttosto banale, assolutamente incongruo alle allucinazioni del testo e all'astrattezza della musica. Affidata a Pietro Borgonovo, fedele interprete di Guarnieri, l'esecuzione musicale va considerata attendibile.
Grande successo per Pietra di diaspro, nuova opera video. (di Patrizia Luppi, AMADEUS)
Un grande, vivo, caloroso successo ha premiato a Ravenna, venerdi 22 giugno, la rappresentazione di Pietra di diaspro, nuova opera video di Adriano Guarnieri realizzata in stretta collaborazione con Cristina Mazzavillani Muti e rappresentata di fronte a un pubblico che superava il migliaio di persone. L'11 settembre ha offerto tragico spunto a questo imponente lavoro, che si basa su testi tratti dall'Apocalisse di Giovanni, oltre che su poesie di Paul Celan e Jacques Maritain, e che e' approdato sulle scene dopo lunga gestazione; ma il riferimento al tremendo attentato delle torri gemelle, e al suo portato nella coscienza collettiva, non e' esplicito; si esprime invece attraverso l'allusione alla drammatica contrapposizione tra una Babilonia dura e cupa, citta' del potere, e la Gerusalemme cui tende la speranza di ogni uomo, credente o meno: citta' ideale fatta di luce, di pietra preziosa, di diaspro appunto. Non c'e' percorso narrativo: frasi, parole, lacerti di versi sono affidati alle voci dei cantanti che si intrecciano all'ampio organico orchestrale in un fitto, densissimo eppur limpido concertato. Com'e'peculiare della scrittura del sessantenne compositore mantovano, il canto si libra in zone impervie, gli strumenti sono spinti all'estremo, la tensione inquieta, cangiante, incandescente si traduce in emozionante liricita' alla realizzazione della possente e visionaria partitura in due parti suddivise ciascuna in dieci sequenze, circa un'ora e mezza di musica nel complesso d'un contributo fondamentale il live electronics che amplifica, moltiplica, modifica ed esalta i suoni. Sette cantanti, tutti spinti verso il registro acuto (l'elemento femminile e' protagonista: cinque sono le voci di donna e due i controtenori, tutti disposti fuori scena come per un oratorio); un coro a sette parti reali; sette trombe; un'arpa che si trasforma in sette arpe grazie alla regia del suono: la simbologia del numero apocalittico e' continuamente richiamata. Il palcoscenico e' velato da immense frange che si frappongono tra il pubblico e i figuranti; immagini evocative tra i riferimenti piu' importanti, un sommo artista come Anselm Kiefer e' vengono proiettate sul fondale e ai lati della scena, dove si muovono ballerini e mimi. e' evidente che Cristina Muti, presidente del Ravenna Festival e regista di ormai pluriennale esperienza, cui era affidato l'impegnativo compito di dare rispondenza visiva alla creazione del compositore, ha lavorato approfonditamente sulla partitura: cio' che accade in scena ha una stretta e puntuale corrispondenza con la musica, conquista lo sguardo stimolando l'immaginazione e si pone a pieno diritto tra i principali fattori dell'ottima riuscita della serata. Cose' come la sapiente direzione di Pietro Borgonovo, sul podio dell'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma (l'opera video, commissionata dal Ravenna Festival, e' stata coprodotta con il Teatro della capitale, dove e' andata in scena nella prima meta' di giugno) e la regia del suono dell'infallibile Alvise Vidolin, che con Nicola Bernardini e Nicola Buso ha valorizzato al massimo gli ampi spazi del Palazzo Mauro De Andre' Ottima la prova dei cantanti, tra i quali alcune interpreti di riferimento per Guarnieri come Sonia Visentin, Alda Caiello e l'ex Matia Bazar Antonella Ruggiero; senz'altro da citare, tra gli strumentisti, Roberto Fabbriciani alle prese con le conturbanti sonorita' dell'enorme flauto iperbasso (otto metri di lunghezza) di sua invenzione, l'arpista Paola Perrucci e il violoncellista Andrea Noferini; e i collaboratori di Cristina Muti per l'allestimento: Ezio Antonelli per le scene e le immagini virtuali, Patrizio Maggi per le luci, Alessandro Lai per i costumi.
Pietra di diaspro (di Mario Dal Bello)
Roma, Teatro Nazionale. Esiste ancora l'opera lirica e' Domanda d'obbligo perche' l'opera-video con testi tratti dall'Apocalisse e dalle liriche di Paul Celan, musicati da Adriano Guarnieri, sembra altra cosa da quanto siamo abituati a vedere e a pensare. Certo, dopo la donizettiana Figlia del Reggimento data all'Opera - con l'allestimento piacevolmente calligrafico di Zeffirelli e quella musica che si tuffa nell'ultimo Rossini ammiccando al futuro Offenbach che ha dato da fare alla brava orchestra guidata da Bruno Campanella -, trovarsi per due ore nel mondo apocalittico e surreale di Guarnieri e' stata una visione. I puristi forse non saranno d'accordo, ma quest'opera-video e' uno spettacolo fascinoso. Le miscellazioni videografiche hanno creato una scenografia virtuale tale da trasportare in una realta' onirica e metafisica che ha giustificato il puro suono della musica di Guarnieri, un con-fondersi di sonorita' umane elettroniche e strumentali, talora cervellotiche, eppure espressive di una tensione all'immersione cosmica in cieli e terre nuove. La materia sonora e' in realta' la protagonista dell'impresa, e forse, per descrivere altri mondi, e' lo strumento adatto: resta impressa nell'orecchio spirituale dell'ascoltatore attento come un Qualcosa che ha da venire, anche se per ora difficile da recepire dal pubblico consueto. Tra le ottime voci, spicca quella di Antonella Ruggiero, con il suo timbro inconfondibile nella polifonia dissociante del canto, mentre fra gli strumenti il violoncello di Andrea Noferini fluttua in oscillazioni alla Berio d'immediata comunicabilita' Opera dunque, la Pietra di diaspro e' Cristina Mazzavillani Muti, regista dell'impresa, oculata e precisa, anima i vari generi - coreografia (bellissime quelle sulla fine di Babilonia), canto, mimica - in una unita' magmatica che tende a dare una visione nuova dell'opera, aperta alle fantasie multimediali e ad indagini filosofiche. Dell'antico recitar cantando semplice e diretto, resta nulla. Ma ormai l'opera viaggia in cerca di una nuova liberta' e di un'altra, possibile,musica.